Il Tema della pignorabilità di emolumenti salariali, se ad una prima analisi può apparire di semplice comprensione, risulta essere al contrario, particolarmente complessa a livello interpretativo in considerazione dei limiti legali delle quote pignorabili, nel caso in cui detti emolumenti siano già colpiti da precedenti pignoramenti e/o da cessioni volontarie parziali.
La materia risulta disciplinata da normativa risalente nel tempo e nello specifico dal DPR 180/1950 e s.m.i..
Per quanto attiene in particolare alla pignorabilità delle componenti stipendiali/pensionistiche, alla quantificazione della quota pignorabile di detti emolumenti, ed alla coesistenza tra pignoramenti e cessioni volontarie, le disposizioni normative di riferimento risiedono nel Titolo 1 del citato decreto e nell’art. 68 del medesimo, oltre che all’art. 545 c.p.c..
Volendo operare una sintesi, all’interno della citata normativa, volta ad individuare le disposizioni di interesse relative all’oggetto della presente ricerca possiamo così riassumere:
Art. 2. Eccezioni alla insequestrabilità e all’impignorabilità.
Gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti, nonché le pensioni, le indennità che tengono luogo di pensione e gli altri assegni di quiescenza corrisposti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell’art. 1, sono soggetti a sequestro ed a pignoramento nei seguenti limiti:
- fino alla concorrenza di un terzo valutato al netto di ritenute, per causa di alimenti dovuti per legge;
- fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per debiti verso lo Stato e verso gli altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto d’impiego o di lavoro;
- fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fin dalla loro origine, all’impiegato o salariato.
Il sequestro ed il pignoramento, per il simultaneo concorso delle cause indicate ai numeri 2, 3, non possono colpire una quota maggiore del quinto sopra indicato, e, quando concorrano anche le cause di cui al numero 1, non possono colpire una quota maggiore della metà, valutata al netto di ritenute, salve le disposizioni del titolo V nel caso di concorso anche di vincoli per cessioni e delegazioni.
Art. 5. Facoltà e limiti di cessione di quote di stipendio e salario.
Gli impiegati e salariati dipendenti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell’art. 1 possono contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote dello stipendio o del salario fino al quinto dell’ammontare di tali emolumenti valutato al netto di ritenute e per periodi non superiori a dieci anni, secondo le disposizioni stabilite dai titoli II e III del presente testo unico.
Art. 68. Limiti nella coesistenza di sequestri o pignoramenti e cessioni.
Quando preesistono sequestri o pignoramenti, la cessione, fermo restando il limite di cui al primo comma dell’art. 5, non può essere fatta se non limitatamente alla differenza tra i due quinti dello stipendio o salario valutati al netto delle ritenute e la quota colpita da sequestri o pignoramenti.
Qualora i sequestri o i pignoramenti abbiano luogo dopo una cessione perfezionata e debitamente notificata, non si può sequestrare o pignorare se non la differenza fra la metà dello stipendio o salario valutati al netto di ritenute e la quota ceduta, fermi restando i limiti di cui all’art. 2.
In ragione della già evidenziata vetustà della normativa di riferimento, la stessa disciplinava esclusivamente i rapporti di lavoro subordinato nel settore pubblico.
Tale discrepanza risulta ampiamente superata dall’intervento della Corte Costituzionale e di numerose pronunce di legittimità, l’effetto delle quali è stato determinare la assoluta equipollenza tra settore pubblico e privato nella operatività della richiamata disciplina.
Tra le molteplici può infatti individuarsi:
Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 12/12/2011) 18-01-2012, n. 685
“Il senso palesato dalle parole delle disposizioni in questione e dalla intenzione del legislatore, manifestata dai ripetuti interventi modificativi dell’originario testo normativo del D.P.R. n. 180 del 1950, non consente di dedurre altra interpretazione che l’estensione totale al settore privato della disciplina del menzionato decreto, originariamente dettato per il solo settore pubblico (in tal senso cfr. in motivazione Cass. n. 4465/11). Deve essere, dunque, enunciato il principio in ragione del quale: In tema di espropriazione forzata presso terzi, le modifiche apportate dalle L. n. 311 del 2004, ed L. 80 del 2005 (di conversione del D.L. n. 35 del 2005) al D.P.R. n. 180 del 1950 (approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni) hanno comportato la totale estensione al settore del lavoro privato delle disposizioni originariamente dettate per il lavoro pubblico.”
Chiarito tale aspetto preliminare, la lettura sistematica delle disposizioni normative citate fornisce gli elementi cardine attraverso i quali rispondere agli interrogativi principali oggetto della presente analisi.
Può stabilirsi infatti come:
- Gli emolumenti stipendiali possono essere oggetto di pignoramento fino alla concorrenza di 1/5 valutato al netto delle ritenute fiscali e previdenziali;
- In caso di concorrenza tra debiti di natura alimentare e debiti di natura diversa, le relative trattenute possono coesistere e la quota pignorabile dell’emolumento stipendiale non può superare la metà dello stesso;
- In caso di preventiva cessione volontaria, la quota pignorabile non può superare, quanto a consistenza economica, la differenza tra la metà dello stipendio netto e l’importo oggetto di cessione.
Rispondendo all’esigenza di fare maggiore chiarezza, può senza dubbio operarsi un esempio pratico, applicando matematicamente i principi poc’anzi enunciati ad uno stipendio netto di € 1.500,00.
- Per debiti della stessa natura può operarsi una trattenuta sugli emolumenti massima pari ad € 300 (1.500/5);
- In caso di concorrenza tra debiti di natura diversa, la trattenuta stipendiale non potrà superare gli € 750 (1500/2);
- In caso di preesistenza di una cessione volontaria (che ipotizziamo consista in € 300), il massimo pignorabile (per debiti di diversa natura) sarà pari ad € 450 (1500/2=750. 750-300= 450).
Trattandosi di applicazione pratico/matematica di una normativa risalente nel tempo, non sistematica ed uniforme, che non prevede particolari conseguenze di diritto al verificarsi di eventuali difformità nel calcolo delle trattenute da operare (demandante comunque al datore di lavoro ed al controllo a posteriori del creditore e del Giudice dell’esecuzione), risulta necessario ancorare l’odierna ricerca alle pronunce giurisprudenziali intervenute nel tempo sul tema.
A riguardo possono citarsi:
Cass. civ. Sez. III, Sent., 22/04/1995, n. 4584
“Allorché concorrano più cause di pignoramento, il limite del cumulo è regolato, a sua volta, dall’art. 2, comma 2 del citato D.P.R. n. 180 del 1950.
Il decreto prevede peraltro, come è noto, la possibilità della cessione di una quota non superiore al quinto dello stipendio (art. 5) a favore di enti mutualistici specificamente abilitati, a fini di finanziamento del pubblico dipendente, con particolari garanzie ed a determinate condizioni.
Da ciò la necessità di fissare i limiti per il concorso di sequestri o pignoramenti e cessioni, limiti stabiliti dal successivo art. 68, a norma del quale, fermi restando quelli di cui all’art. 2, qualora il sequestro od il pignoramento abbia luogo dopo una cessione perfezionata e debitamente notificata, non si può sequestrare o pignorare se non la differenza fra la metà dello stipendio o salario e la quota ceduta.
Dal combinato disposto tra le due norme si evince quindi che, allorché il pignoramento od il sequestro segua ad una cessione, gli stessi incontrano l’ulteriore limite della metà complessiva, nel senso che in tal caso rimane pignorabile o sequestrabile esclusivamente la differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta (e cioè, ove sia stata ceduta la quota massima di un quinto, la quota residua di tre decimi); poiché tale differenza normalmente supera un quinto, rimangono fermi il limite di un quinto per ciascun pignoramento ed i limiti previsti per il loro concorso (che, naturalmente, non potrà più raggiungere la metà dello stipendio, dovendosi sempre dedurre la quota ceduta; l’interpretazione trova anche l’avallo della sentenza della Corte Costituzionale del 24 maggio 1991, n. 220, con la quale, peraltro, è stata dichiarata inammissibile la questione di costituzionalità degli artt. 2 e 68, in quanto non rilevante nel giudizio a quo).”
Cass. civ. Sez. III, 09/05/1994, n. 4488
“In tema di limiti alla pignorabilità e sequestrabilità degli stipendi dei pubblici dipendenti, quali risultanti dalle parziali declaratorie – di cui alle sentenze della Corte Costituzionale n. 89 del 1987 e n. 878 del 1988 – di illegittimità costituzionale delle norme di previsione, qualora intervenga un pignoramento contenuto entro tali limiti (del quinto) successivamente ad una cessione di pari misura, regolarmente perfezionata e notificata, non è illegittima la coesistenza ed il cumulo delle due cause riduttive dello stipendio, non risultando superata quota complessiva della metà dello stipendio medesimo, posta dall’art. 68 del d.P.R. n. 180 del 1950 quale limite assoluto per il concorso di cause siffatte.”
Cass. civ. Sez. III, 13/10/2023, n. 28625
“Nell’espropriazione di crediti, il terzo debitore del debitore esecutato non è legittimato a far valere l’impignorabilità del bene, neanche sotto il profilo dell’esistenza di vincoli di destinazione, attenendo tale questione al rapporto tra creditore esecutante e debitore esecutato, il quale ultimo soltanto si può avvalere degli appositi rimedi oppositivi previsti dalla legge, sicché, nella espropriazione presso terzi, l’indicazione dell’esistenza di un vincolo di destinazione, che può determinare l’impignorabilità del credito aggredito in via esecutiva, non fa venir meno il carattere di positività della dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 cod. proc. civ. Dunque, ricorre l’opponibilità al creditore pignorante unicamente delle cessioni di crediti anteriori al pignoramento, notificate o accettate dal debitore ceduto prima dell’iniziativa esecutiva, e non anche di negozi privati non contemplati dall’ordinamento ed espressione dell’autonomia negoziale delle parti, produttivi di effetti giuridici solo nei confronti di coloro che li hanno conclusi, ma non anche dei terzi”.
Tribunale di Gorizia, sezione unica civile, RG n. 1142/2019
“La giurisprudenza più recente ha avuto modo di precisare che dal combinato disposto delle suddette disposizioni deve concludersi che la differenza fra la metà dello stipendio e la quota ceduta è interamente pignorabile solo se la somma della quota volontariamente ceduta e delle quote dei pignoramenti successivamente intervenuti (da intendersi ognuno non superiore al quinto) superano la metà dello stipendio, che costituisce il limite invalicabile a garanzia delle basilari esigenze di vita del debitore (Trib. Siena, 09/09/2019, n. 883).”
Tribunale di Crotone, sezione civile, RG n. 2362/2019
La vicenda in esame concerne una di queste ipotesi, non così rare nella pratica dei rapporti di finanziamento privati, in quanto il debitore esecutato ha stipulato, a fronte di un stipendio netto pari ad Euro 1.492,79: un finanziamento con cessione del quinto pari ad Euro 300,00 mensili e contestuale prestito con delega di pagamento nella misura di ulteriori Euro 100,00 mensili per un totale di Euro 400,00 per ciascuna mensilità (ciò in data 12-3-2015); in seguito, il lavoratore ha altresì formalizzato un ulteriore finanziamento con ulteriore delega di pagamento gravante sullo stipendio per un importo mensile di Euro 234,00 (ciò in data 30-6-2017).
L’importo totale della cessione del quinto, unita alle due diverse deleghe di pagamento, è quindi pari alla somma di Euro 634,00, superiore al caso della c.d. doppia cessione del quinto – espressione invero non tecnica – e prossima al limite del 50% dello stipendio (Euro 746,39: Euro 1.492,79/2).
Ora, è evidente che mentre la cessione del quinto è un prestito assunto volontariamente dal dipendente, il pignoramento dello stipendio deriva da un precedente inadempimento ad una obbligazione e viene effettuato contro la volontà del dipendente.
A tal riguardo la legge prevede che le trattenute sullo stipendio, derivanti dalla cessione del quinto e da uno o più pignoramenti possano avvenire simultaneamente ma sempre rispettando dei limiti invalicabili che variano in base alla presenza o meno di una cessione.
La disciplina normativa trova la propria fonte nell’art. 68 del D.P.R. n. 180 del 1950 il quale dispone che “qualora i sequestri o i pignoramenti abbiano luogo dopo una cessione perfezionata e debitamente notificata, non si può sequestrare o pignorare se non la differenza fra la metà dello stipendio o salario valutati al netto di ritenute e la quota ceduta”.
Ne consegue che a fronte delle plurime trattenute, opponibili al creditore pignorante in quanto stipulate in data antecedente alla notifica dell’atto di pignoramento, la quota utilmente pignorabile sarebbe rappresentata dalla differenza tra la metà dello stipendio (Euro 746,39) e il totale delle quote trattenute (Euro 634,00), dunque entro i limiti della somma di Euro 112,39.
Ebbene, pur in presenza di un già elevato indebitamento del lavoratore dipendente, in data 10-8-2018 l’odierno ricorrente ha ottenuto un’ulteriore elargizione di somme nella forma dell’anticipazione su future retribuzioni con addebito di una rata mensile pari ad Euro 250,00.
Sul punto, si osserva come non esista una disciplina positivizzata della fattispecie, non sussistendo alcuna norma che regoli la materia o che obblighi il datore di lavoro ad anticipare parte della retribuzione prima del termine previsto dal CCNL di riferimento applicato. Non esiste persino una procedura da seguire, pena un’eventuale sanzione. La possibilità di erogare un anticipo di stipendio in busta paga è così rimessa alla sola volontà delle parti e alle singole regole aziendali.
Nel caso in esame, non può che prendersi atto della circostanza per cui il valore complessivo delle trattenute supera abbondantemente il limite del 50% dello stipendio netto mensile in quanto pari alla somma di Euro834,00 a fronte di una retribuzione di Euro 1.492,79.
Nel rapporto tra pignoramento e trattenute stipendiali a garanzia di precedenti finanziamenti, l’anticipazione su futuri stipendi, ancorché non disciplinata da alcuna previsione di legge, non può che essere ricondotta al limite della metà dello stipendio previsto dall’art. 68 del D.P.R. n. 180 del 1950 in materia di cessione del quinto dello stipendio, trattandosi di norma generale, volta a tutelare l’intangibilità di una quota minima retributiva, suscettibile di applicazione analogica a fattispecie non dissimili (in modo analogo a quanto viene concordemente affermato in giurisprudenza di merito per le delegazioni di pagamento, anch’esse, in verità, estranee alla disciplina di cui al ridetto d.p.r.).
In definitiva, in accoglimento di quanto domandato dall’attore con il primo motivo di opposizione, la dichiarazione del terzo resa ex art. 547 c.p.c. deve essere interpretata quale sostanziale dichiarazione di consistenza negativa con contestuale annullamento dell’ordinanza di assegnazione somme emessa nell’ambito del processo esecutivo mobiliare presso terzi iscritto al r.g.e.m. n. 332/2019.
La lettura dei provvedimenti appena menzionati, oltre a ribadire i capisaldi precedentemente evidenziati quanto alla consistenza massima della quota pignorabile (1/5), all’ammontare percentuale impignorabile dello stipendio (50%) ed al calcolo da effettuare per verificare la quota pignorabile in caso di preesistente cessione (stipendio/2 – cessione = quota max pignoramenti), pone importanti spunti di riflessione in ordine alla coesistenza di molteplici trattenute stipendiali (cessioni + deleghe + pignoramenti) qualora tale coesistenza comporti l’assottigliarsi dell’emolumento sino ad intaccare la richiamata quota indisponibile (50%).
Sul consolidato presupposto secondo il quale la cessione di quinto – trattandosi di atto dispositivo del debitore – non sia opponibile al pignoramento presso terzi (data la natura impositiva di quest’ultimo), nell’esperienza pratica professionale si è sempre ritenuto come la procedura esecutiva potesse trovare propria conclusione con l’emissione di ordinanza di assegnazione in favore del creditore a prescindere dalla presenza di cessioni/deleghe preesistenti ed a prescindere dalla consistenza economica delle stesse.
Tale prassi deduttiva, in realtà, risulta dipendente esclusivamente da una percezione limitata della infinita casistica che può manifestarsi nel contesto delle espropriazioni mobiliari presso terzi.
Invero, non vi è alcuna disposizione normativa che preveda l’inopponibilità al PPT degli atti dispositivi del debitore (cessioni + deleghe) notificate precedentemente, qualora l’importo di tali cessioni/deleghe, cumulativamente intese, superi il 50% dell’intero emolumento stipendiale o si avvicini a tale soglia.
In tali circostanze, infatti, qualora l’ammontare degli atti dispositivi del dipendente sul proprio emolumento (cessione + delega) sia di importo prossimo alla quota del 50%, il pignoramento potrà eseguirsi non sul 1/5 del medesimo ma sulla quota residua risultante dalla sottrazione tra la metà dello stipendio e l’importo complessivo delle “cessioni”.
Sembra opportuno tornare all’esempio pratico del salario pari ad € 1.500.
In caso di salario libero da precedenti cessioni la quota pignorabile è pari ad € 300 (1500/5).
In caso di precedente cessione (es. € 300), la quota pignorabile sarà sempre pari ad € 300, perché inferiore alla quota di cui all’art. 68 comma 2 (1500/2=750. 750–300=400. 300<400) e perché cumulativamente intese le due quote non superano il 50% dello stipendio (300+400=700. 700<750).
In caso di precedente cessione (es. € 300) e di delegazione di pagamento (es. € 200), la quota pignorabile sarà inferiore al normale 1/5 (1500/2 = 750. 750-300-200=250).
Tale assottigliamento della quota pignorabile risponde all’esigenza di garantire, in ogni caso, l’intangibilità della metà indisponibile degli emolumenti stipendiali.
Dalle considerazioni appena svolte, arrivando al caso limite esaminato dalla pronuncia del Tribunale di Crotone poc’anzi menzionata, ne deduciamo l’effettiva opponibilità delle disposizioni volontarie del debitore sul proprio salario nei confronti del pignoramento presso terzi, riducendone l’entità massima arrivando sino ad escluderne l’applicabilità.
Avv. Rolando Modesti